La passione per la birra mi porta a fare alcune riflessioni su Roma. Partendo dal basso, le dozzinali e non-saporite birrette mono-doppio malto in bottiglia sono riuscite ad accattivarsi una vasta fascia di pubblico (spesso da allarme sociale) che le consuma come se fossero le migliori delle birre possibili. Poi è la volta dei pubbetti…Nient’altro che luoghi d’aggregazione post-adolescenziale del fine settimana dove la trasgressione si esplica nel tracannare (per gli “uomini”) birre alla spina freddissime gasatissime e costosissime e (per le “donnine”) cocktail dal dubbio sapore spesso dolcissimi e alcolicamente fortissimi; poi c’è il wine bar…Osterie ripulite dove mangi semini e ti improvvisi sommelier…Di colpo siamo tutti diventati intenditori di vino e gran gourmet, quando fino a pochi anni fa il vinello era consumato in osterie poco raccomandabili da vecchietti e alcolizzati (che almeno però mangiavano bene…Non le schifezze da oviparo che servono agli “aperitivi”-che-fanno-molto-cool). Poi è arrivata la moda che se non bevi la roba irlandese non sei nessuno è hanno avuto un fiorire le nuove aperture di una galassia di pseudo Irish-pub, che di irish hanno spesso ben poco ma invece hanno molto della Roma che non mi interessa, quella che gioca ad essere quella che non è, che ti ostenta le mode senza capirne poi l’essenza di quello che viene detto o fatto. In alcune di queste taverne irlandesi si beve comunque un ottimo prodotto sebbene sia industriale, in tanti altri ci si va per l’atmosfera carina e perchè la comitiva si ritrova lì…Viene utilizzato il pub come viene utilizzato il bar…Come nei “vitelloni”. Per non parlare poi delle grapperie, delle rhumerie e di tutto ciò che prova a diventare business sdoganando pseudo-coatti come artisti del sapore e spiriti degni del demonio come bibite miracolosamente buone…Lungi da Roma e lungi da me tutto questo abominio…Le birre artigianali, non nascono come filosofia del no…no global no ogm, non sono una risposta reazionaria al marciume della città e non sono nemmeno una nuova moda radical-chic fintoelitaria o la reminescenza dei prodotti genuini (non sono polli le birre). Sono semplicemente buone,ma veramente buone. C’è assolutamente il rischio di ritrovarsi circondati dai Gran Maestri dei sapori -che-la-birra-artigianale-la conoscono-da-prima-di-te,specie nei localini che servono l’agognato nettare che lavorando con un target di clientela della fascia 18-25, in quartieri alto-borghesi,possono sembrare il parallelo ricco delle altre tipologie presente a Roma. A quel punto sopporti perchè preferisci bere la tua birrozza da paura piuttosto che disgustarti per gli imbecilli che sono vicino a te. Bisogna pensare che queste bevande hanno anche un ruolo sociale…Ho visto figli di papà (e di mammà) che dopo aver scoperto la differenza tra una weiss ed una lager,una bock e una pilsner,hanno anche finalmente capito che cosa è il Belgio, che lingue si parlano in Belgio, che le abbazie non fanno solo l’amaro benedettino, dov’è il Belgio, che i fiamminghi stanno pure lì. E’ gia un passo in avanti dato che a Roma la maggior parte delle persone si esprime a gesti e grugniti, specie alla sera, e che le letture preferite della città sono il corriere dello sport (solo i titoli) e le pubblicità dei centri commerciali (solo i prezzi). La scelta di birre artigianali si sposa tout-court con una ricerca consapevole del sapore come droga dell’anima, affiancandosi quindi anche al buon mangiare, slow food, scoperta di prodotti VERI dell’Italia e del mediterraneo in genere,ricerca di esaltazioni di profumi e sapori che in abbinamento cibo-birra raggiungono il top della libidine…E’ che la città è troppo piena di tutto,e tutto si mescola come in un continuo evolvere di elementi eterogenei e complementari tra loro tanto da creare quella commistione sociale che caratterizza le notti della città.